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30/07/12

Diario dei Mostrincubi - Il Gartambegliorio


Mi piace stare al porto, sedermi sulle casse e guardare le barche rientrare la sera. Mi ricorda di mio padre. Mi ricorda di cose buone e tempi felici.


Le barche ondeggiano pigre assicurate ai loro ormeggi. Il legno del molo scricchiola e l'odore di pesce e salsedine viene spazzato via dalla brezza. I marinai scaricano casse e sistemano le reti. Persino i rumori sono sempre gli stessi, rassicuranti e monotoni.


Messe le barche in sicurezza per la notte, i pescatori risalgono stanchi sulle stradine di roccia che li riportano alle loro case, alla cena, a una moglie, a dei bambini. È un rito sempre diverso eppure sempre uguale. Lo conosco come conosco il mio arpione.
E mi accorgo subito che c'è qualcosa che non va.


I pescatori stasera sono lenti. Più lenti del solito. Ci mettono troppo tempo per sistemare le reti. Troppo tempo a scaricare le cassette col pesce. Laggiù una barca è ormeggiata ma i nodi sulle gomene sono troppo laschi e la barca si allontana, spinta dalla risacca, per poi caricare con forza contro il molo che cigola ad ogni urto.
Mi alzo e osservo la scena con attenzione.
Non c'è niente di insolito. Nessun incubo particolare, nessun mostro nascosto tra le sartie. I marinai mi passano affianco. Nessuno mi degna di uno sguardo. Sembrano solo più stanchi del solito. C'è qualcosa che non mi torna, anche se non riesco a identificarlo. Qualcosa fuori posto... ma cosa?


La sera successiva, sono di nuovo in piedi sulle casse. Il mare è ingrossato ma la scena del rientro dei pescherecci si ripete uguale. Anche stasera si vede subito che qualcosa non va. Le manovre di attracco sono goffe, le schiene più curve del solito. Le reti vengono ammucchiate senza attenzione. Uno degli ormeggi salta. Il peschereccio ondeggia pericolosamente e schiaccia una piccola lancia contro i piloni. Il molo trema con violenza. Nessuno reagisce.


Non ho tempo per pensare e scatto. La fune che assicurava la barca è ancora là con il suo cappio. Pianto l'arpione all'interno dell'occhiello e faccio leva scheggiando le assi del pontile. Il peschereccio si muove indolente ma quando tende la fune il contraccolpo a momenti mi trascina in mare.Stringo l'arpione e chiedo aiuto.
Nessuno fa un passo verso di me.
Restano lì, la bocca piegata in un leggero sorriso, gli occhi spenti e tristi. Il mare gioca con il peschereccio e lo strattona. L'arpione mi sfugge di mano. La punta fa saltare un asse ma per fortuna l'arpione rotola poco lontano. Faccio un salto a recuperarlo mentre il peschereccio, assicurato solo a prua, s'inclina pericolosamente e colpisce altre due barche.


Mi avvicino ad uno dei marinai e lo scuoto urlandogli di darsi una mossa. Il tipo mi guarda con aria vagamente stupita. Il suo respiro puzza di acido. È un odore forte, pungente. Mi allontano portando una mano allo bocca. Il marinaio mi guarda e sorride. Al posto dei denti ha una specie di insetto dal corpo di gambero. Le zampe dell'incubo sollevano le labbra del marinaio in un sorriso sbilenco. Altre gli fuoriescono dalle narici e le guance fremono sotto i colpetti di altre zampe ancora.


Il gartambegliorio. Una vera e propria infestazione. Ce n'è uno, o addirittura più d'uno, nella bocca di ogni marinaio che adesso osserva stupidamente il peschereccio che rischia di distruggere il porto.


Non posso sfigurare tutti i pescatori del villaggio prendendoli ad arpionate sulla bocca e quell'incubo è un osso duro. Si nutre di felicità e bei pensieri. Te li ruba dal respiro e ti lascia svuotato, al limite dell'idiozia, con gli occhi tristi e un sorriso stampato sul volto.


Mi muovo rapida verso le reti. Afferro uno degli uncini per i pesci e afferro l'arpione al contrario, in modo da usare l'estremità non acuminata. Faccio tre passi verso il primo marinaio, carico il colpo e affondo l'arpione dritto nel suo stomaco. Il poveraccio si piega in due, gli afferro la faccia ficcandogli due dita nel naso e prima che possa reagire, gli cavo via l'incubo con l'uncino.


Il poveraccio sbianca. L'incubo gli strappa dai polmoni il poco fiato che ancora gli era rimasto in corpo. Il pescatore finisce in ginocchio, respira affannosamente e cerca di mandar giù più aria possibile. Gli altri mi guardano, stupidi. Ricarico il colpo con la parte contundente dell'arpione e affondo con forza. Due dita nel naso e un'uncinata a strappar via il mostro.
Colpo. Uncino.
Colpo. Uncino.
Colpo. Uncino.
E così via.


Il peschereccio si schianta con forza sul molo. La lancia, compressa sotto tanto peso, si spezza in due contro il pilone. Cerco di restare in piedi. Affondo il colpo nello stomaco dell'ultimo pescatore e lo libero dall'incubo che gli affondava le zampe in gola. Il tipo si piega in avanti e vomita. Mi scanso appena in tempo e mi giro. È durato tutto pochi minuti.


Allo schianto della lancia, gli altri marinai si sono improvvisamente ripresi e alcuni di loro già corrono verso la cima per assicurare di nuovo gli ormeggi. In una decina riescono a contrastare la forza del mare e a legare la barca.
Il marinaio affianco a me riesce a mandar giù tanta aria da chiedermi cosa diavolo pensavo di fare prendendolo ad arpionate.
Gli restituisco l'uncino per il pesce e me ne vado sorridendo.
"Ringrazia piuttosto che non ho dovuto usare l'arpione di punta. E lavati i denti più spesso, fidati."


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